OBBIETTIVI DEVIANTI DI Alphonse Doria RIFLESSIONI POST LETTURA DEL SAGGIO DI STORIA “LA SICILIA DELLE STRAGI”A CURA DI GIUSEPPE CARLO MARINO

21 Gen

 

 

La lettura di un libro da parte mia comporta sempre di più un impegno emozionale. Potrà sembrare strano ma è proprio con i saggi (soprattutto di storia) che mi capita di surriscaldarmi parecchio, come il testo in questione.  “La Sicilia delle stragi” a cura di Giuseppe Carlo Marino  edito dalla Newton Compton Editori, Roma il 05 novembre 2015 – 512 pagine, costo 5,99. Quindi un prezzo super accessibile a chi si tormenta con dei punti interrogativi che lo inseguono e lo punzecchiano da sempre venuto a conoscenza dei fatti di storia siciliana. Questo libro ormai introvabile spero vada in ristampa.

La storia siciliana appare sempre di più opaca, come l’acqua di uno stagno che rimane sempre tla-sicilia-delle-stragi_7132_x1000orbida, nonostante da secoli non viene molestata, e non lascia vedere il fondo. Ora leggendo questo testo su alcune stragi ho avuto la conferma delle mie impressioni e motivazioni il perché la nostra storia deve essere così attanagliata da tanti misteri.

Non è la prima volta che m’impatto con qualche scritto del curatore di questo libro. Proprio sul mio L’ULTIMO DEGLI UZEDA a pagina 90 e 91 scrivevo:

(…) quando leggo le asserzioni di un certo Giuseppe Carlo Marino[1], inorridisco leggendo nel capitolo La mafia come forza originaria del potere la conclusione: (pagina 15)[2] “Come definire questo perverso rapporto tra ceti alti della tradizione aristocratica e la mafia emergente dal “popolo”? Una scomoda alleanza? E’ più corretto evidenziare una complicità. Essa è senz’altro la matrice storica di un originario rapporto omertoso stabilitosi tra il baronaggio politico e la sua base mafiosa ed anche del comune e strumentale orgoglio di difendere e valorizzare la cosiddetta sicilianità. Ecco spiegato come e perché la mafia e le classi egemoni siciliane avrebbero trovato, fino ai nostri giorni, il loro comune denominatore culturale nel sicilianismo. Per questo signore bisogna eliminare qualsiasi residua della cultura siciliana e qualsiasi rivendicazione identitaria siciliana per sconfiggere la mafia… Sterminare un Popolo, nel senso identitario, per eliminare un male che non fa parte della sua cultura ma di una alterazione di potere colonizzante della politica di Cavour e di tutto ciò che ne seguì fino ad oggi. Più razzista antisicilianista di così caro professore Marino non si può? Ma il professore Marino è un Siciliano…   Il paradosso dei paradossi è che hanno inculcato al Popolo Siciliano il pregiudizio razziale su se stesso.[3] Con questo teorema che sicilianismo e mafia hanno il loro comune denominatore culturale viene legittimo accusare qualsiasi iniziativa e attivista sicilianista di mafia, o simpatizzante della mafia. In parole pratiche con questa accusa viene criminalizzata qualsiasi azione e movimento di autodeterminazione del Popolo Siciliano. Sappiamo benissimo da gli atti giudiziari che la mafia è stata a servizio delle forze politiche che hanno le segreterie di partito a Roma. L’elettorato suscettibile di influenza mafiosa è stato messo a disposizione ora a l’uno, ora a l’altro, facendo così proprio la mafia ha permesso la colonizzazione clientelare del Popolo Siciliano, ed è stata contraria ed in opposizione a qualsiasi forza politica sicilianista. Proprio a fine della seconda guerra mondiale il M.I.S., che aveva ottenuto il consenso del Popolo Siciliano, con tutte le sfaccettature variegate, ha visto il volta faccia immediato, di quegli elementi cosiddetti mafiosi per la Democrazia Cristiana.

 

Prima di acquistare questo libro leggendo il nome del curatore ho avuto delle remore, così l’ho aperto e letto qualche nome e come veniva trattato, allora mi sono detto: il solito testo di divulgazione omologata. Ma occorre sentire il suono dell’altra campana. Proprio nella copertina leggo: “UN MOSAICO NARRATIVO IN CUI I VERI EROI SONO LE VITTIME DELLA MAFIA”. Questa asserzione stabilisce una linea divisoria tra “eroi” resi vittime dalla forza nemica: la “mafia”. Quindi una linea divisoria con i nemici del Potere istituito e tenuto in vita, legittimato a caro prezzo con il loro sangue dagli eroi. Ma le conclusioni stesse di questo libro, che saltano sotto gli occhi di un lettore ben attento, sono ben altre, perché questa linea tra Potere istituito e Mafia non è per niente divisoria, è solo illusoria. Troppo fili di contatto vi sono stati nella storia da una parte e l’altra per definirle opposte e contrarie. L’unica vittima è la Libertà, l’Autodeterminazione del Popolo Siciliano. Testimoniata dalle uniche vittime  quasi tutte Siciliani uccisi, fatti saltare in aria, mentre cercavano di scoperchiare la cloaca dello Stato Italiano e i suoi maldestri e malefici interventi nella storia della propria Isola.

Passiamo all’analisi del testo in questione. La PREFAZIONE non andrebbe letta in quanto ha la pretesa di essere il volantino per le modalità d’uso, un condizionamento di opinione del lettore. Il professore Marino mette subito le mani avanti a pagina 8, chiarendo che l’obbiettivo di questo saggio è quello di “contrastare con un rigore storiografico professionale”, “la gamma delle molteplici interpretazioni alle quali è esposta largamente la storia siciliana”, “i voli pindarici e le improntitudini di una certa pubblicistica dilettantistica che va costruendo con successo sulle cose e su gli eventi di Sicilia “teoremi” (…) scientificamente inaffidabili”. Quindi vi sono i storici, come lui, che lo fanno per mestiere, e quindi pagati e omologati dal Potere istituito, e gli altri i pubblicisti dilettantistici, chiamiamoli non omologati, diciamo pure liberi di dire la verità così come è.

Mentre lo storico di mestiere ha spesso un bruttissimo vizio di non dire. Quindi non dando tutte le indicazioni il corso della verità storica se ne va a quel paese. Il rigore storiografico professionale se ne va a farsi fottere e quello di contrastare i teoremi scientificamente inaffidabili di una certa pubblicistica dilettantistica è un obbiettivo deviante. Il vero obbiettivo è quello di nascondere, infangare la storia del Popolo Siciliano anche negando le stesse affermazioni, negando l’evidenza storica.

Il curatore di questo libro ha sottaciuto su alcune stragi, pur essendo di una certa rilevanza storica. Ad esempio:

Il 3 gennaio del 1862 a Castellammare del Golfo (Trapani) dopo un processo sommario, sono stati fucilati: Angela Romano, una bambina di 9 anni (l’unica in tutto il mondo che viene processata e fucilata a questa età), un prete, due persone anziane e tre donne. Tutti sono stati accusati di essere familiari dei ribelli indipendentisti siciliani. L’inquisitore generale Pietro Quintino, ex garibaldino, dopo questo gesto infame  è stato decorato con la “Croce dei SS. Maurizio e Lazzaro”. I Siciliani hanno compreso d’allora la vera faccia del nuovo occupatore: ITALIA! Ecco come recita il Liber defunctorum di giorno 3 gennaio 1862 posto negli archivi della Matrice di Castellammare del Golfo: “ (…) Romano Angela, figlia di Pietro e della sua consorte Giovanna Pollina, a l’età di 9 anni nell’ora 15,00 circa di oggi a Castellammare, ha dato la sua anima a Dio senza sacramenti, nella villa chiamata della Falconera, perché è stata uccisa dai soldati del Re d’Italia. Il suo corpo è sepolto nel nuovo camposanto”.[4]

 

Un fatto così crudele che mette in evidenza l’efferatezza dei Piemontesi contro il Popolo Siciliano viene così sintetizzato, in appendice a pagina 460:

-1862, gennaio. Rivolta di Castellamare (TP).

Giudizio storiografico. Segnò un cambiamento di rotta definitivo del governo di Torino verso le vicende siciliane e meridionali. Occorreva tutelare l’appena conquistata unità dei nemici del regno d’Italia, anche con l’invio massiccio di truppe militari nell’isola e con la proclamazione dello stato d’assedio (Riali).

 

Certo, mi si può rispondere che sono scelte, e che nel saggio, tutto non può essere riportato. In queste poche righe vi è la giustificazione storica politica di eccidi efferati perpetrati contro un Popolo che era stato letteralmente colonizzato e che non accettava il Regno d’Italia, altro che nemici, solo vittime. Ancora oggi non vi è assoluzione per il crimine Italia contro i Popoli meridionali e il Popolo Siciliano pur se gli storici di mestiere continuano a prostituirsi al Potere costituito in questo modo.

Il curatore del libro afferma a pagina 18 una dichiarazione di estrema importanza:

“(…) la Sicilia ha conosciuto un fenomeno stragista di lunga durata e di varia origine, riprodottosi in oltre due secoli come un’indomata e indomabile epidemia, con una sequela di tragici eventi che nell’insieme fanno pensare a un ininterrotto stillicidio di sangue del suo popolo. (…) In ciascuna di esse la violenza e la perfidia hanno spesso raggiunto il massimo della concentrazione, con una forza impietosa, dura come l’acciaio, tagliente come una spada: la violenza pura del puro potere.”

Chiarisce a scanso di equivoci che il potere quasi sempre è di natura mafiosa. Ma sa benissimo che la mafia è stato, e lo è  ancora, solo uno strumento del potere.

Il vero obbiettivo è trovare una giustificazione alla storia omologata, anche a sfiorare il ridicolo come a pagina 19, dove il Marino è costretto a scrivere che per alcune delle stragi non sono da imputare alla mafia ma ai nazisti nel 1943:

“per qualcuna (non per tutte) delle analoghe operazioni che gli anglo-americani, nel medesimo anno, si ritennero costretti a compiere per fronteggiare sbrigativamente spropositate emergenze di ordine pubblico o temute insubordinazioni nel corso della loro rapida avanzata nell’isola dopo lo sbarco del 10 luglio”.

Quindi gli angloamericani hanno commesso quei crimini, dal bombardamento indiscriminato su obbiettivi civili, o stragi su persone inermi e soldati disarmati e arresi, tanto da essere condannati da qualsiasi cultore di storia come autentici criminali, a detta dal Marino, perché furono costretti. E’ paradossale tale tesi. Trova così volta per volta delle giustificazioni ad ogni strage commessa in terra di Sicilia, pur se gli assassini sono palesemente le forze occupanti come dopo l’unità d’Italia l’esercito asserisce che i  mandanti sono siciliani. A pagina 19:

“Certo dall’unificazione nazionale in poi, non poche volte in Sicilia le forze dello Stato hanno sparato su inermi folle di dimostranti o di popolani in lotta ritenuti (quasi sempre a torto) minacciosi per il cosiddetto “ordine pubblico”. (…) Senza togliere alla responsabilità di uno Stato resosi complice  ed esecutore di un ignobile mandato, non sussistono dubbi circa l’apparenza dei veri mandanti ad un fondamentale circuito siciliano nel quale, ormai da tempo immemorabile, si attua la confluenza della “mala politica” regionale con quella nazionale”.

 

Quindi i mandanti delle efferate stragi italiane sono siciliani. Per quale ragione lo Stato italiano è stato l’esecutore di tali mandati così vili? Il professore Marino si risponde: “la confluenza della mala politica regionale con quella nazionale”. Cioè la prostituzione dei politici siciliani al potere istituito italiano, vendendosi il proprio Popolo come carne da macello. Perché il Popolo Siciliano non è rimasto inerme all’occupazione piemontese della propria Terra. A questo punto è doveroso precisare che cosa è il fenomeno dello stragismo in Sicilia? E il professore Marino puntualmente risponde:

“(…)manovrato da oscuri interessi di Stato”(pagina 19),

“(…) modo violento di fare politica” (Pagina 20),

“(…) la strage è di per sé un atto di “guerra civile””(Pagina 20).

Nonostante la palese certezza dei fatti delle “stragi di Stato” il professore Marino attesta con tutta la sua autorevolezza istituita dallo stesso Stato che ha commesso gli orrendi crimini contro il Popolo Siciliano che (pagina 21):

 

“(…) sono stati quasi sempre dei siciliani a sparare su altri siciliani: anche quando restavano nell’ombra dietro truppe in divisa, erano i potenti siciliani di turno (e di sempre, più o meno rimodellati dal mutare dei tempi!) i veri responsabili del fuoco e delle vittime; erano loro che se non premevano il grilletto, pretendevano di dar lezione” e conformemente “consigliavano”, aizzavano, imponevano e infine, ottenuto il risultato, benedicevano”.

 

Lo stragismo operato dal Potere istituito italiano perpetrato contro il Popolo Siciliano è stato voluto da (mafiosi e potentati del momento) Siciliani per assicurarsi la loro egemonia su i restanti Siciliani. Io non credo che questo teorema ipotetico del professore Marino si possa sostenere minimamente. Anche perché in ogni modo ciò dimostra che questo è lo status politico, quello di uno Stato italiano complice della mafia dei potentati del momento. Quindi è indiscutibile la linea di demarcazione tra le vittime e i sopraffattori criminali: vittima il Popolo Siciliano; criminale lo Stato Italiano con i compari mafiosi e potentati. I potentati, in passato nobili, oggi politici. Il ruolo tra mandanti ed esecutori si stabilisce in un secondo tempo, magari…

Ecco che qualsiasi istanza di autodeterminazione del Popolo Siciliano viene interpretata dal curatore del libro come un ricatto dei potentati nei confronti del Potere istituito, pagina 33:

“(…) un costante ricatto separatista (esercitato già all’indomani dell’unificazione nazionale e riemerso come subdola risposta al movimento dei Fasci dei Lavoratori di fine Ottocento) culminato nella vistosa azione del MIS di Finocchiaro Aprile e dei capi della mafia dopo il crollo del fascismo, con un contestuale uso della delinquenza organizzata e di bande efferate di malfattori del tipo di quella di Salvatore Giuliano; infine, per lunghi anni di cui non si sono affatto dissolti i veleni ai nostri giorni, l’uso improprio e strumentale della democrazia nell’azione di contrasto al comunismo, nel quadro della strategia nazionale e internazionale della guerra fredda”.

Si può rispondere solo con le parole di Milan Kundera:

“Per liquidare un Popolo si comincia con il privarli della memoria. Si distruggono i loro libri, la loro cultura, la loro storia. E qualcun altro scrive loro altri libri, li fornisce un’altra cultura, inventa per loro un’altra storia. Dopo di che il popolo comincia lentamente a dimenticare quello che è e quello che è Stato. Ed il mondo intorno a lui lo dimentica ancora più in fretta”[5].

Per portare avanti la tesi che l’istanza separatista è solo uno strumento di ricatto, bisogna cancellare la storia, ecco che la strage di Randazzo del 17 giugno 1945 viene liquidata con queste due righe in appendice a pagina 470:

“1945, 17 giugno. Misterioso eccidio consumato ai danni del capo militare dell’EVIS (Esercito Volontario Indipendenza Siciliana), Antonio Canepa, in agguato sulla strada Etna-Catania”.

 

Vengono così occultate le morti dello studente ginnasiale Giuseppe Lo Giudice e dello studente universitario Carmelo Rosano, il ferimento di Nando Romano. Viene occultato che Antonio Canepa è un professore universitario, perché così la tesi dei separatisti mafiosi può continuare a reggersi. Visto che sono degli eroi “separatisti” il loro sacrificio attenta al potere istituito.

 

Tanto per avere una chiara visione dell’obbiettivo deviante del testo dichiarato del rigore storiografico professionale e l’obbiettivo reale che è quella di manipolare la storia per combattere qualsiasi aspettativa di autodeterminazione del Popolo Siciliano al prezzo modico di consenso istituzionale alla propria marchetta lavorativa. Ecco che allora il dato lascia il passo alla tesi storica ma con rigore, pagina 46:

 

“(…) nel caso di un mancato successo in sede nazionale del fascismo i ceti dominanti siciliani tornassero ad inalberare la bandiera separatista, come già avevano fatto all’indomani della formazione del regno d’Italia e poi, in modo subdolo e strisciante , ai tempi dei Fasci per sospingere Crispi alla repressione”.

 

Ogni atteggiamento di rivalsa sia sociale o di autodeterminazione del Popolo Siciliano per il Marino ha in se del torbido, del malefico. A nulla vale il risultato storico di una nefasta Italia con tutti i suoi ruffiani e ascari siciliani venduti (compreso gli storici di professione abilitati a tale mestiere, come lui).

 

In questo libro si nasconde volutamente la funzione della mafia come organizzazione armata del fronte occidentale in funzione della guerra fredda contro lo stalinismo sovietico, viene comodo a Marino lasciare la questione tra siciliani quindi la mafia a servizio dei potentati (baroni e latifondisti). A pagina 49:

 

“(…) i notabili siciliani spogliatisi della camicia nera avevano tributato agli americani, trascinandosi dietro folle plaudenti messe in movimento dai mafiosi, come già era accaduto ai tempi di Garibaldi”.

 

E’ oltretutto vergognoso il giudizio così negativo di quei Siciliani che aprirono le abbraccia alle forze militari antinazifasciste per primi in Europa (nonostante le bombe criminali che avevano subito nei mesi precedenti). Tra quei Siciliani vi erano i miei nonni e i miei genitori. Non vi fu nessun mafioso che spinse o trascinò nessuno. E i fascisti, convinti o meno di allora, tanti furono rimessi nei posti di comando. La mafia invece divenne istituzione insieme a quei partiti rigenerati a doc per una Italia americanizzata democraticamente controllata con misteriosi stragi (Portella delle Ginestre) fino alla caduta del muro di Berlino e il fallimento dell’Unione Sovietica (Borsellino).

Ed è oltretutto vero che il Partito Comunista Italiano guidato da uno stalinista come Togliatti ha avuto un comportamento del tutto misterioso e altrettanto pericoloso, tradendo continuamente soprattutto le forze di sinistra dal momento della lotta partigiana per tutta la durata della prima repubblica. Oggi raccogliamo i frutti di tale politica: diritti sociali dei proletari calpestati, annientati; il sistema bancario protetto agevolato con il furto legalizzato del sistema bancario di Stato.

 

In Sicilia nel dopoguerra abbiamo due personaggi: un certo Girolamo Li Causi, un funzionario di partito mandato dalla segreteria di Roma a guidare l’azione politica dei comunisti siciliani in maniera spregiudicata curandosi solo del fine da raggiungere. Il fine è stato estinguere la lotta indipendentista siciliana anche con l’eliminazione fisica di elementi dell’EVIS come è avvenuto a Randazzo. Distogliere dall’attenzione l’istanza indipendentista anche facendo di tutto che accadesse la strage di Portella delle Ginestre, ma sottraendosi fisicamente di tale pericolo. Questo è stato Girolamo Li Causi: un autentico criminale. Ecco che l’attentato a Togliatti dello studente di Canepa Pallante il 14 luglio del 1948 prende il significato di rivendicare giustizia al mandante del piombo della strage di Randazzo.

 

La segreteria palermitana del Partito comunista sapeva che vi era preparato un agguato a Portella delle Ginestre ed ha lasciato che succedesse. L’eroe Li Causi non si è presentato, il suo sostituto Renda gli si è rotta la moto ed è arrivato a cose fatte. Nessuno dei dirigenti comunisti era presente. Eppure era una celebrazione di vittoria comunista. Ecco come scrive il Marino a pagina 262; 263, chiarendone il motivo, magari senza volerlo:

 

-Non sarebbero stati tanto ingenui, i cosiddetti mandanti, da non prevedere che una strage di così evidente efferatezza avrebbe avuto nell’opinione pubblica conseguenze tali da rafforzare, piuttosto che indebolire, le potenzialità di azione e di propaganda del PCI, partito oltretutto dotato di un’assai forte organizzazione, quasi di tipo militare, e di una leadership astuta e agguerrita.

 

Mentre Andrea Finocchiaro Aprile un leader di tutto riguardo che rifiutò poltrone comode, che con coerenza ha portato l’istanza di autodeterminazione del Popolo Siciliano con il relativo consenso, viene definito “grottesco”[6].  Mentre Li Causi viene definito “mitico”[7]. Questo è il rapporto storico del servilismo politico di questo libro di storia.

 

Gli argomenti di questo testo sono stati trattati personalmente in precedenza in tantissimi altri scritti già pubblicati in rete. Voglio mettere all’attenzione che tanti autori sono stati coraggiosi a mitigare tra le menzogne di Stato alcune verità che fanno cortocircuito con le conclusioni del libro. Pertanto porto all’evidenza ciò che mi ha colpito in particolare.

 

Crisantino – Pagina 80:

-Nell’agosto del 1861 Massimo D’Azeglio si sfogava: “Agli italiani che restando italiani non volessero unirsi a noi, credo che non abbiamo il diritto di dare delle archibugiate”.

 

Crisantino a pagina 93 riporta le parole di Maniscalco:

-Il 2 ottobre 1862 (…) Maniscalco scrive da Marsiglia al Corriere Siciliano: “(…) nei tempi andati l’assassinio politico era sconosciuto a Palermo e che il primo atto selvaggio di tal natura fu deliberato nel 1859 nei conciliabili del vostro partito, e perpetrato sulla mia persona nel tempio di Dio”.

 

Chi era Maniscalco tanto odiato da tutto il Popolo Siciliano? E’ stato il primo sperimentatore in terra di Sicilia di convivenza con la consorteria delinquenziale dell’epoca. In poche parole, sostituì i funzionari di pubblica sicurezza napoletani con duecento uomini di malacarne arruolati qua e là. Così l’uomo d’azione politica, l’indipendentista siciliano, si trovò a combattere contro il delinquente comune, che in futuro con la colonizzazione piemontese sarà il mafioso. Ad esempio, la legge a Misilmeri fu affidata al famoso bandito Chinnici.  Ai Borboni non interessava il reato comune ma solo la repressione politica, il successo fu ottenuto a prezzo di soprusi di ogni genere sulla popolazione. La vicenda di Maniscalco è emblematica perché proprio il 27 novembre del 1859 mentre si recava a messa con la famiglia nel duomo di Palermo fu accoltellato e ferito gravemente da Vito Farina, uomo malacarne come i suoi sgherri. Garibaldi, poi, premiò il delinquente con un sodalizio. Ma il possesso dei duecento ducati d’oro del Farina fanno pensare bene ad un intervento prima dello sbarco garibaldino ad eliminare un ostacolo come il Maniscalco. Insomma una vera convivenza tra delinquenza e garibaldini guidata dalla massoneria inglese in Sicilia. Una storia, un sistema, che segnerà per sempre il destino della Nazione Sicilia.[8]

 

La mafia è esclusivamente unitaria! La mafia ha compiuto il suo primo delitto a spese di Giovanni Corrao, comandata dall’intelligence piemontese, ed ha continuato ancora e ancora, e ancora non si è fermata. Se la mafia fosse stata indipendentista, o separatista, al Parlamento Siciliano non ci sarebbero stati rappresentanti dei partiti italiani e derivati. La mafia lo sa che se la Sicilia raggiungesse l’indipendenza, l’autodeterminazione, il suo ruolo finirebbe. Potrebbe essere utilizzata dal Potere solo per destabilizzare, per causare eventi tali a giustificare una oppressione del Potere con gli strumenti ritenuti opportuni.

Noi Siciliani sappiamo da che parte sta la mafia nella linea di demarcazione tra la legittimità, (altri la chiamano “legalità”, ormai è una parola istituzionalizzata ed ha perso il suo significato) e la disonestà.

Il Potere ha oltrepassato questa linea di demarcazione quando ha deciso di colonizzare la Sicilia con tutti i mezzi disponibili compreso la mafia.[9]

 

Il 3 Agosto 1863 Giovanni Corrao cadde in un agguato mentre stava andando a Palermo con il suo calesse ancora si trovava nel suo podere San Ciro, da dietro una curva degli assassini gli spararono a lupara. (La notte del 13 marzo 1863 in una azione di polizia furono perquisite case e arrestati tutti coloro che avevano percepito la nuova colonizzazione piemontese. L’accusa: organizzazione eversiva e di attentato alla sicurezza dello Stato. Tra i mandati d’arresto uno era per Giovanni Corrao. Sono state le sue parole a convincere i reali carabinieri all’arresto. Infatti diceva che noi Siciliani non abbiamo fatto la rivoluzione per cambiare di tirannide! Corrao riuscì a fuggire quella notte dalle grinfia degli sbirri piemontesi. La sua figura era molto scomoda per il suo carisma popolare e quindi andava eliminato.  L’indagine viene chiusa con una  ipotesi: forse gli esecutori furono i vicini di terreno? oppure i “maffiosi”? Come il prefetto Gualtiero aveva etichettato lo stesso Corrao. Non vi è alcun dubbio sul mandante … Con questa pratica d’ufficio la malacarne locale divenne mafia come oggi s’intende. Ai funerali di Corrao partecipò commosso tutto il popolo di Palermo, si segnalarono più di 70.000 persone a dimostrazione di quanto sia stato carismatico. Questo può significare la valenza politica di leader in una ribellione verso il potere costituito piemontese, quindi la ragione di Stato ha fatto si di utilizzare la delinquenza locale sia per le accuse con il pentito Matracia che per la manodopera per l’eliminazione effettiva tramite l’agguato. Era così nata la terribile Italia ancora al potere, con quella mafia come oggi si conosce.[10]

 

Amelia Crisantino a pagina 73:

-Nel 1862 (…) Alla Camera di Torino i siciliani dichiaravano di non volere rinunciare alle loro “antiche leggi e istituzioni” (…) (la Sicilia per i Piemontesi rimaneva) una terra straniera ed ostile. Una terra infida, che rifiutava la gratitudine, che in molteplici modi ostentava di resistere al nuovo ordine portatore di progresso.

 

Da questa espressione già viene chiarito che la non strage degli accoltellatori di Palermo è stata ordita dalla massoneria di Stato.

 

La stella a cinque punte disegnata con il sangue nella “capitale” Palermo era la firma ben precisa, il numero tredici e il pugnale fanno parte del simbolismo rituale ed esoterico massonico, insomma questo fa pensare ancora oggi ad una lotta tra le massonerie, con precisione ad una minaccia dei “poteri forti”, che già si concretizzavano con l’unità delle massonerie nel Grande Oriente d’Italia. La minaccia era stata fatta a chi la poteva intendere: alle altre logge massoniche siciliane che resistevano ancora nella loro indipendenza e pertanto non si erano del tutto assoggettate negli intenti politici, soprattutto per l’aspettativa di alcuni muratori sull’autodeterminazione della Sicilia. Quindi queste logge accumunate facevano sorgere nell’interno un senso critico verso l’operato del Governo e del nuovo Stato, il quale aveva già definito che non avrebbe mai e poi mai concesso nemmeno una forma scialba di autonomia alla Sicilia. E’ l’inizio di una storia tutta italiana che lascia da allora una lunga scia di sangue innocente, soprattutto sulla nostra Isola.

La stessa stella a cinque punte è tutt’oggi l’emblema della Repubblica Italiana e del Movimento Cinque Stelle, la stessa delle Brigate Rosse, vi è forse un solo filo conduttore?

Nel pugnale troviamo il movente: “La violazione del segreto fatta da un massone ad un profano non lascia scampo, chiunque ne sia il colpevole. Più alta è l’autorità massonica che rivela il segreto, più eclatante arriva il “pugnale massonico”(32). E’ facile vedere nell’operazione di Garibaldi la profanazione massonica nell’iniziazione dei suoi luogotenenti. Per questo motivo il mio sospetto è ponderato sulla stranezza che l’autore Salvatore Mannino sia stato così a digiuno su informazioni riguardo la massoneria da non scriverne nemmeno un rigo nella sua opera in questione.[11]

 

Amelia Crisantino a pagina 73:

-(…) alla sera del primo ottobre, quando a piazza Vigliena, su un muro del palazzo del marchese di Rudinì, “una piccola candela di cera si vedeva accesa” e nessuno riusciva spiegarsene il significato.

 

Il significato è palese è massonico: la luce è stata svelata ai pagani.

 

La questione dei pugnalatori già ci affibbiò l’etichetta in ogni parte del mondo andassimo noi Siciliani di accoltellatori, oltre quella di afro di pelle bianca. Era così che:

Negli U.S.A. dove i Siciliani e i meridionali andarono ad occupare le piantagioni di cotone abbandonate dai neri, dopo la fine dello schiavismo, già allo sbarco Ellis Island (New York) gli Italiani venivano separati tra settentrionali nel reparto dei “bianchi e i meridionali in quello dei non bianchi[12]. I Siciliani venivano etichettati come: “white niggers”[13] oppure “black dagos”[14]. Questo comportò un linciaggio sistematico, un trattamento economico inferiore a quella dei neri e venivano perseguitati anche dal Ku Klux Klan.[15]

 

La questione dei Fasci Siciliani mette in crisi molti storici, mette in crisi lo stereotipo dell’immobilismo dei Siciliani, ecco cosa scrive M. Siracusa a pagina 109:

-I Fasci Siciliani (…) mettono in crisi il tradizionale ritratto di una “Sicilia immobile” al quale sono abituati certi appassionati interpreti dei fatti delle cose siciliane.

Uno sviluppo sociale, con una legittima lotta di popolo repressi col piombo e le catene “Stato d’assedio e tribunali militari”. I Fasci Siciliani non intrapresero una lotta di classe sociale, ma di evoluzione, di istanze di progresso. Ed è per questo motivo perché questo fenomeno non trova l’apporto storico da parte degli operatori culturali comunisti di partito. Anzi, spesso trovano l’ingiuria e la menzogna. Pur partecipando donne e bambini tra i manifestanti, pur a cadere a terra dal piombo di Stato sono stati i fascianti, quindi sono state le vittime, gli storici riescono ad intorbidire l’evento, dichiarando che la provocazione alla repressione sia partita dai manifestanti, magari con l’infiltrazione di mafiosi che hanno provocato le forze dell’ordine pubblico. Mentre tutto è chiaro, palese, elementare: lo Stato spara i Siciliani vengono colpiti. Poi che i campieri comunali, i carabinieri, l’esercito italiano oppure i mafiosi hanno sparato per prima poco ha importanza nell’evento storico, quello che contava era la repressione del fenomeno da parte del potere di Stato. Riuscendo così a negare il futuro ai Siciliani di ieri e di oggi. La nostra rassegnazione è la conseguenza di tali repressioni. E sangue siciliano se n’è dovuto versare così tanto per ridurci a degli esiliati volontari lontani dalla nostra Terra, dalla nostra Patria Sicilia. Penso che gli storici che si accodano ancora a queste tesi sono responsabili dei crimini storici perpetrati ai danni del Popolo Siciliano. E per la mia poca esperienza culturale non credo proprio che loro sono convinti di ciò che scrivono.

Siragusa – pagina 117:

-(…)la mafia è da supporre presente nelle manifestazioni popolari con il fine di farle volgere a risultati idonei a propiziare la repressione (…).

La storia siciliana spesso e volentieri viene scritta con le supposizioni. Comunque sia, poco cambia quando gli attori di un fatto sono gli esecutori di un solo mandante: lo Stato italiano.

Gonzalo Alvarez Garcia- pagina 134:

-Il 3 gennaio 1894 (…) la strage di Marineo (…) Quel giorno un reparto dell’esercito, fiancheggiato dai carabinieri e dalla mafia locale, sparò contro una folla di lavoratori armati soltanto di un impetuoso bisogno di giustizia.

Da precisare che i famosi campieri spesso venivano pagati dalle amministrazioni comunali. Come precisa Garcia la somma era di 500 lire annue.

Il mandante di ogni strage è stato e continua ad esserlo lo Stato italiano come la strage del pane Buscemi a pagina 187 riporta la circolare Roatta del 1943:

-Quella famigerata circolare, ricordiamolo, obbligava le truppe ad “agire contro il popolo senza esitazione (…) e di reprimere con le armi qualunque perturbamento dell’ordine pubblico (…) senza preavviso di sorta, come se si procedesse contro truppe nemiche”.

Buscemi a pagina 188 chiarisce che il governo ha cercato in tutti i modi di fare cadere la responsabilità su i “separatisti”.

Il separatismo è stato tradito dalle forze alleate, dagli Inglesi e dagli Americani. Il plebiscito per l’indipendenza della Sicilia da loro promesso è stato negato in maniera repentina, solo perché l’Italia ha messo la Sicilia sotto i loro piedi come uno zerbino. L’Autonomia è stata una farsa, un contentino. I politicanti siciliani complici terribili di tale conseguenze. I comunisti siciliani vengono allertati e fanno fronte a tale condizione, senza successo. Marino a pagina 271 così scrivendo di Giuliano e chiarisce:

-Il sicilianismo separatistico di cui aveva bene assimilato la lezione era la passione, forse autentica (…) di una ribellione a uno Stato ingiusto, “lo Stato italiano responsabile (…) di avere depredato la Sicilia, trattandola in 87 anni di unità nazionale come una misera colonia”. (…) I comunisti, fautori dello Stato unitario, avversari dell’America gli apparivano (…) come subdoli seduttori che ingannavano il popolo siciliano spingendolo a perseguire obiettivi contrari alle sue tradizioni e ai suoi interessi”.

Il mondo si era diviso in due fronti: occidentale e sovietico, Giuliano sognava una Sicilia confederata con gli Stati Uniti d’America e lottava già dal 1944 per tale causa. A pagina 272 viene riportato l’Appello al popolo inviato da Salvatore Giuliano al Giornale di Sicilia nel marzo del 1948, riporto alcuni pensieri alquanto riguardevoli di attenzione:

“(…) il mio pensiero (…) separare la Sicilia dall’Italia e farne uno Stato confederato all’America (…) il mondo si doveva dividere in due parti per come oggi ne abbiamo visto le prove (…) i miei consigli che debbono essere per voi la guida nella scelta tra la Democrazia e il Comunismo. (…) Ripudiate questi falsi dei comunisti che pur sapendo di essere in malafede hanno promesso e continuano a promettervi senza alcun scrupolo il paradiso terrestre. (…) La maffia come tutti ben sapete è tutta gente che proviene dalla malavita (…) ha cercato di aiutarsi (…), non sapendo zoticamente che quei signori che usano loro tali riguardi fanno il doppio gioco, che poi quando il mondo si riappacifica li manderanno in  galera per come li mandarono dopo l’entrata del fascismo”.

Forse sarò confuso mentalmente ma tale chiarezza nel trattare il fenomeno della mafia[16] non la trovo nemmeno oggi dopo la caduta del muro di Berlino, dopo l’omicidio Lima e le stragi Falcone e Borsellino, dopo l’arresto di Riina e Provenzano. La mafia viene vista da Giuliano come uno strumento di Stato. I comunisti erano stati loro in Unione Sovietica, avevano visto con i loro occhi cosa era lo stalinismo, eppure lo vendevano come “il paradiso terrestre”. Il PCI ha posto un obbiettivo deviante con il suo odio di classe facendo perdere il vero obbiettivo politico dell’Autodeterminazione, svalutando la stessa Autonomia come strumento idoneo a tale scopo. Quindi non una lotta di Popolo ma una di classe. Emblematico l’episodio del prefetto Sante Jannone, il quale fa cancellare la parola “popolo” dalla targa posta 8 giorni dopo l’assassinio di Turiddu Carnevale che portava questa scritta: “Qui nel 1955, Salvatore Carnevale fu barbaramente assassinato. I compagni e il popolo posero nell’ottavo giorno del suo sacrificio come impegno di più fiera battaglia per la giustizia, per la liberazione della Sicilia”.[17]

Così si normalizza la Repubblica italiana alle elezioni del 18 aprile del 1948 vinte dalla Democrazia Cristiana con il 48,5%. Pagina 311 Paternostro scrive:

-Ma un bel risultato anche per la mafia, che così poté definitivamente accreditarsi agli occhi dello Stato come “grande” e “braccio armato” di quei “valori occidentali”, su cui si sarebbe costruita  la storia d’Italia dei trent’anni successivi. Il frutto avvelenato di quella “lunga strage”, iniziata nel 1944, che già aveva mietuto decine di vittime e che ancora non era esclusa.

Le vittime di Stato hanno in comune l’oggetto delle loro indagini. Boris Giuliano, indagava sul traffico di stupefacenti “sui rapporti tra mafia e politica, sul caso Mattei, sul caso De Mauro, su Sindona ed il suo falso rapimento”. Basile cadde perché stava continuando le indagini di Boris Giuliano. E così via. Proprio riguardo l’uccisione del giudice Borsellino la dichiarazione di Cancemi sembra importante (pagina 368):

-(…) un ordine emesso come se si dovesse dar corso ad un impegno assunto in sede esterna, da supporre superiore alla stessa organizzazione di Cosa Nostra.

Ciò fa pensare che vi è un capo al di sopra “il capo dei capi”. Lo stesso Potere che non ha voluto fermare la mafia con la “stagione delle assoluzioni” e che gli omicidi di Mauro De Mauro e Mario Francese non hanno permesso di rilevare ai Siciliani cosa stava ordendo Mafia e Potere di Stato. M. Testa scrive a pagina 402:

-(…) quando vari indizi convergenti fanno ritenere che da parte della magistratura e delle forze di polizia  non si volesse leggere nel libro aperto delle cose di mafia (…) fin dagli anni Sessanta era possibile leggere, ma che in seguito cominciò a chiudersi, quando anche i confidenti, fonte insostituibile di informazioni dirette prima dell’avvento del pentitismo, dovettero rendersi conto che in alto loco era stato decretato il divieto di leggere quel libro.

Così ancora oggi ad ogni istanza di Autodeterminazione viene risposto: “Ma in Sicilia c’è la mafia!”, no! La Mafia è stata voluta dallo Stato italiano. La Sicilia senza l’Italia sarà senza la Maffia. Così si esprime la Corte di Assise di Firenze, sul processo sulle stragi 1993 – 1994:

“(…) non si comprende, infatti, come sia potuto accadere che lo Stato, “in ginocchio” nel 1992 (…) secondo le parole del gen. Mori – si sia potuto presentare a “Cosa Nostra” per chiedere la resa; non si comprende come Ciancimino, controparte in una trattativa fino al 18-10-92, si sia trasformato, dopo pochi giorni, in confidente dei Carabinieri; non si comprende come il gen. Mori e il cap. De Duomo siano rimasti sorpresi per una richiesta di “show down[18]”, giunta, a quanto appare logico ritenere, addirittura in ritardo”[19].

Non si vuole comprendere, per tanti Siciliani è più comodo non comprendere, in un gioco di specchi tra i tanti obbiettivi devianti da raggiungere di volta in volta.

[1] Giuseppe Carlo Marino (Palermo, 1939) è uno storico e accademico italiano. Militante storico del catto-comunismo, mutuato da Franco Rodano.

[2] Storia della mafia di Giuseppe Carlo Marino Enciclopedia Tascabile Newton diretta da Roberto Bonchio Newton & Compton editori s.r.l.  Roma – 1997

[3] IL PREGIUDIZIO RAZZIALE E Mister Denis Mack Smith (dell’autore)

 

[4] Almanaccu Sicilianu – Jnnaru di Alphonse Doria stampato in Italia presso Thefactory per Gruppo Editoriale L’Espresso S.p.A. – Dicembre 2015; Pagina 32

 

[5] Il libro del riso e dell’oblio di Milan Kundera, 1978  – Adelphi Editore – 1991

 

[6] Pagina 49

[7] Pagina 50

[8] L’ULTIMO DEGLI UZEDA di Alphonse Doria pagina 164; 165

[9] A SUD DEI TERRONI – Considerazioni su TERRONI di Pino Aprile – di Alphonse Doria

[10] Almanaccu Sicilianu – Austu “libro pubblicato dall’Autore” sul sito IL MIO LIBRO, stampato in Italia presso Thefactory per Gruppo Editoriale L’Espresso S.p.A. – Luglio 2016;  pagina 34

 

[11] LA NOTTE DEI PUGNALI recensione I PUGNALATORI DI PALERMO DEL 1862 di Salvatore Mannino – Alphonse Doria

[12] Divisione ufficialmente avallata dalla Commissione Dillingham del Senato degli Stati Uniti nel 1911

[13] negri color chiaro

[14] Negro accoltellatore, dagos da dagger.

[15] L’ULTIMO DEGLI UZEDA di Alphonse Doria pagina 81; 82

[16] Giuliano scrive “maffia” sicuramente involontariamente usa il primo termine utilizzato nei rapporti di polizia piemontese per questo fenomeno.

[17] Pagina 322

[18] “Atto finale”

[19] Pagina 409

Una Risposta to “OBBIETTIVI DEVIANTI DI Alphonse Doria RIFLESSIONI POST LETTURA DEL SAGGIO DI STORIA “LA SICILIA DELLE STRAGI”A CURA DI GIUSEPPE CARLO MARINO”

  1. alphonsedoria gennaio 23, 2017 a 5:21 am #

    Spesso si parla di “servizi segreti deviati”, ma questi agenti non sono per niente “deviati” sono i loro obbiettivi devianti.

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